venerdì 18 settembre 2015

Il test per scoprire se hai la sindrome da rientro, e non lo sai!

Settembre ormai è iniziato e con lui il rientro alla vita di sempre. I bagagli sono disfatti da un pezzo, le vacanze dimenticate e le giornate di lavoro sono ritornate ad essere interminabili. La maggioranza di noi soffre in questo mese di quella che gli esperti chiamano 
sindrome da rientro.
 L’ irritabilità, il calo di attenzione e un generico senso di stordimento sono le caratteristiche più evidenti ma a volte i sintomi non sono così chiari e bisogna imparare a riconoscerli.
Ecco il test per capire se ne sei affetto:


 1.  Cosa fai appena suona la sveglia:
A.      La spegni, ti giri, ti riaddormenti. Oggi a lavoro non ci vai.
B.      Rimandi, rimandi e rimandi fino a strisciare fuori dal letto di corsa
C.      Reattivo schizzi via dal letto al primo trillo pensando già a cosa metterti

2. Mentre prepari la colazione pensi a:
A.      La riunione fiume che ti aspetta
B.      Quanto era buono quel mango servito sulla spiaggia due settimane fa
C.      Quando avrai tempo per fare la lampada visto che sta tornando il biancume

3. Sei davanti al pc pieno di email e:
A.      Pensi a quanto costerebbe aprire un chiosco sulla spiaggia
B.      Hai uno strano tic per cui guardi l’orologio in maniera compulsiva, quanto manca alla fine della giornata??
C.      Leggi le email e non ti distrai, sai che non hai scampo

4. Guardi l’armadio e pensi:
A.      Quanto stavo bene in infradito, le scarpe chiuse le odio
B.      Mi serve un kaftano floreale, devo mantenere il summer look il più possibile
C.      Certo che la pancetta con la camicia si copre meglio

5. In pausa pranzo:
     A.      Apri le foto delle vacanze implorando agli amici di fare una reunion
     B.      Mangi vegan per cercare di tornare al bioritmo vacanziero in versione urbana
     C.      Pausa pranzo? Ad avercela, dal rientro non hai un secondo nemmeno per la  toilette!

6. Sei davanti allo specchio e guardi il tuo viso:
A.      Si sta spellando, devi pensare ad un rimedio
B.      Ti cospargi di crema allo yogurt che hai comprato in viaggio, sperando che il santone che te l’ha venduta in spiaggia aveva ragione
C.      Non capisci perché tendi al grigio e non più al rosa, ma non ci pensi troppo, non hai il tempo!

7.  Se vedi una maschera in cucina come reagisci:
A.      La metti, ti manca troppo quella sensazione, prepari la colazione con maschera e boccaglio
B.      La lanci verso l’armadio, non hai ancora disfatto bene le valigie, sei sempre di corsa
C.      Urli contro il coinquilino che non ha sistemato a dovere, l’estate è finita, basta!

                                                                    Risultati:
                                                              Maggioranza di A

La sindrome ce l’hai, non hai scampo. 
Devi accettare lo status di malato e iniziare una cura fatta di sole e buonumore. Appena trovi un raggio di sole che filtra dalla finestra dell’ufficio, piazzati davanti e cerca di ricaricarti, la vitamina D serve alle tue cellule e a combattere lo sconforto.
Se non l’hai ancora fatto, decidi subito il prossimo viaggio, paga il biglietto e segnalo sul calendario, ti sentirai meglio.


Off limits lamentarsi, pensa al sorriso di quel surfista vegano che tanto ti sembrava in pace con il mondo. Bene tu sorriderai così’ se ti ingegnerai su come cambiare vita.



                                                              Maggioranza di B

Credi non avere nessun problema ma hai la sindrome in versione light. Si manifestano i segni ma tu non sai riconoscerli. Per te la speranza è l’ultima a morire, sei ottimista di natura e ti adatti allo spirito vacanziero come al rientro. La soluzione è accettare che anche tu soffri di malinconie estive.

Per te il consiglio è quello di imparare ad ascoltarti e smetterla di fare finta che la sabbia sotto i piedi non ti manca!

                                                                 
                                                                 Maggioranza di C

Sei uno stacanovista di natura. Per te le vacanze sono solo uno stacco tra il duro lavoro e il prossimo duro lavoro. Non ti manca il mare ma anzi sei più a tuo agio nel guscio dello smog cittadino. Per te la produttività è la parola d’ordine e raramente riesci a rilassarti. La sindrome da rientro non è assolutamente un tuo problema e sei fiero della tua serenità. 

Attenzione però ci sono altre sindromi per te, potresti essere workaholic!

venerdì 24 luglio 2015

Come Google manipola le nostre vite: cos'è il fenomeno Filter Bubble.

Lo usiamo tutti per fare di tutto. Oltre alle classica barra delle ricerce, abbiamo gmail, il calendar, youtube. I più esperti usano anche google libri, blogger e chi più ne ha più ne metta.
Google non sta su internet ma è internet per la maggioranza di noi.
Eppure l'algoritmo perfetto che ha saputo monopolizzare il mercato dei motori di ricerca è un gigante tutt'altro che buono.


Ma andiamo con ordine.
Anni fa Google non era altro che un motore di ricerca che ordinava i risultati in maniera più efficiente di altri, mettendo al primo posto effettivamente le pagine più rilevanti. Il meccanismo con cui Google "sceglie" le pagine più rilevanti è una somma di quante volte quel sito è stato citato da altri, una sorta di legittimazione del web, più viene citato più Google lo ritiene rilevante. In effetti questo meccanismo ha permesso all'algoritmo di funzionare con ottimi risultati.
Poi è arrivata la pubblicità. 
Il piccolo sito, gestito dai talentuosi nerd californiani, si è trasformato in un colosso mondiale e quindi per sostenere il sistema, interamente gratuito, ha cominciato a finanziarsi con la pubblicità.
Google ha comunicato a vendere spazi pubblicitari e a far apparire alcune pubblicità in calce alle ricerche di ogni utente. Fin qui nulla di male, le pubblicità sono chiaramente segnalate e non interferiscono con la lista di link "neutri" subito sotto.
Ma è più efficace una pubblicità proposta a tutti indistintamente o targetizzata sui desideri e le particolarità del singolo utente?
Qui entra in gioco il fenomeno Filter Bubble.
Questo termine si riferisce all' isolamento intellettuale che può verificarsi quando i siti web fanno uso di algoritmi per assumere selettivamente le informazioni che un utente vorrebbe vedere, e poi dare le informazioni per l'utente in base a questa ipotesi
Vuol dire che tutte le ricerche che noi svolgiamo sulla barra di Google vengono memorizzate ed elaborate per far si che la prossima volta la nostra ricerca sia più efficiente per i nostri interessi. Se ad esempio cerchiamo spesso siti di viaggio, alla decima volta Google ci farà apparire una serie di siti specializzati in viaggi in maniera diversa da un utente che cerca più spesso un altro argomento.
Se provate a scrivere una parola di ricerca su Google su due computer differenti noterete che la lista di link e la configurazione della pagina dei risultati sono diverse. Tanto o poco diverse dipende dalla vostra posizione geografica e dalla tipologia di ricerca (ma qui entriamo in argomenti troppo tecnici che fatico a capire). 

La personalizzazione delle ricerche ha quindi due effetti:
1- Quello di fornire a noi utenti una pre-selezione di argomenti che ci vengono proposti, che ci impedisce di avere una visione oggettiva della realtà.  Una bolla di filtro, di conseguenza, può causare il mancato contatto con i punti di vista contraddittori. Un esempio che Eli Palisier fece nel suo intervento nel 2011 è quello dei risultati di ricerca per Egitto. Da un computer occidentale apparivano una varietà di risultati tra turistici e politici, da un computer egiziano non c'era menzione delle proteste politiche e gli scontri.
2 - L'altro è un effetto pubblicitario. Il motore di ricerca ha tutto l'interesse a farci apparire risultati "filtrati" nella direzione dei nostri gusti, per poter vendere più facilmente le relative pubblicità. Quindi più Google conosce le nostre preferenze

Il fenomeno non riguarda solo Google
Una serie di aziende operanti sul web come Facebook, il NewYorkTimes, il Washington Post, Amazon si stanno muovendo nella direzione della personalizzazione. Tutti in qualche modo registrano le nostre preferenze, i nostri link più cliccati, i gruppi a cui aderiamo e le ricerche che salviamo.
Questo vuol dire che ci stiamo avvicinando ad un mondo dove Internet ci mostrerà sempre di più quello che pensa noi vogliamo vedere.
Questa montagna di filtri fa si che ognuno di noi vive in una personalissima bolla di informazioni appositamente proposte per le nostre esigenze che si costruisce in base a chi siamo e cosa facciamo.
Il punto è che non possiamo controllare cosa entra nella nostra bolla, visto che sono degli algoritmi che lo fanno per noi, ma ancor più grave non possiamo sapere cosa ne resta fuori.

Il mito della libertà di Internet sfuma
Prima dell'avvento del WordWildWeb esistevano enormi filtri alle informazioni, dettate dagli editori e dai proprietari dei media che in qualche modo sceglievano per il grande pubblico cosa mostrare e cosa no di quello che accadeva nel mondo.
Internet sembra aver aperto questi cancelli, reperire le informazioni oggi è facile e senza limiti editoriali, ma i filtri esistono ancora l'unica differenza è che  non sono più fatti da persone fisiche ma da algoritmi.
Quanto eticamente corretti possono essere gli algoritmi rispetto all'essere umano? 
La variabile emozionale dei filtri, che oggi sono formule matematiche, cosa fa entrare e cosa fa uscire dalla nostra bolla?

Fa paura ma è giusto sapere che funziona così.


Vi consiglio di guardare i 9 minuti in cui Eli Palisier per la prima volta ha spiegato questo fenomeno.








 


giovedì 16 luglio 2015

Strane coincidenze: come è distrubito il lavoro minorile nel mondo? La mappa interattiva

E' possibile che tutte le produzioni, soprattutto manifatturiere, siano fatte in Asia e Africa senza che ci sia una componente di sfruttamento?
La risposa è in questa mappa interattiva, realizzata con gli ultimi dati dell'UNICEF da Karoline Hassfurter. Più di 150 milioni di bambini e bambine tra i 5 e i 14 anni, sono vittime di lavoro minorile. Viene da chiedersi come è possibile questa incidenza? La risposta potrebbe essere sotto i nostri occhi.
I vestiti che indossiamo, i nostri smartphones, i prodotti con cui arrediamo le nostre case, tutti provenienti dai più grandi marchi occidentali sono prodotto propio in questi paesi. Ci sarà un nesso?
Non posso provarlo, Nestlé o Nike non dichiareranno mai che un loro dipendente ha 6 anni, tantomeno lo farà Gucci o Vuitton ma è possibile che tutti questi bambini lavorino nelle botteghe, in produzioni locali e non abbiano nulla a che fare con le nostre grandi marche?
A voi la riflessione.



martedì 14 luglio 2015

Uber Pop nuovo Stop dal Tribunale. Perché l'Italia li ha (legalmente) fermati in 10 punti.

Il Tribunale di Milano, ha emesso lo scorso 25 maggio un’ordinanza, con cui ha imposto uno stop ad Uber Pop sul territorio nazionale. Il 9 luglio inoltre ha respinto il reclamo presentato da Uber contro il provvedimento. Uno stop quindi definitivo per ora.
Ecco tutto quello che c'è da sapere in 10 punti. 


1) Al centro del mirino c'è il servizio Uber Pop. Si tratta di un’applicazione online che permette di contattare un autista Uber. In base alla sua disponibilità e alla geolocalizzazione, l’autista più prossimo si reca a prelevare l’utente per iniziare il trasporto in qualunque punto della città. Al contrario di altri servizi offerti da Uber, l’autista di Uber Pop utilizza la propria autovettura privata. Le tariffe sono più economiche rispetto a quelle di un taxi tradizionale e si paga mediante cellulare, con addebito sulla carta di credito registrata. In Italia, prima dell’ordinanza in questione, il servizio sarebbe stato disponibile in quattro città: Milano, Genova, Padova, Torino (a Roma con altri tipi di servizi, ma non Uber Pop). Perché i taxi (lobby d'eccellenza italiana) si sono infuriati?

2) Alcune società di radio taxi di Milano, Torino e Genova, ed alcune organizzazioni sindacali e associazioni di categoria hanno avviato una causa contro Uber, al fine di inibire, in via cautelare, il servizio Uber Pop in Italia. L’accusa è di concorrenzasleale ex art. 2598 n.3 codice civile (c.c.). Secondo i ricorrenti, Uber Pop permette di ottenere un servizio identico a quello pubblico offerto da un radio taxi, ossia da un taxi dotato dell’apparecchiatura che mette in comunicazione taxista ed utente anche a distanza. In breve, Uber Pop sarebbe un servizio taxi abusivo, dato che Uber non rispetta le regole di natura pubblicistica previste per il settore.
Le regole di natura pubblicistica si basano, in primo luogo, su requisiti soggettivi, cioè le qualità che gli operatori di trasporto pubblico non di linea devono possedere.
In secondo luogo, disciplinano le modalità di svolgimento del servizio stesso.
La conseguenza del mancato rispetto di tali regole da parte di Uber è il vantaggio concorrenziale all’interno del medesimo mercato: gli autisti di Uber Pop non sostengono determinati costi imposti, invece, ai tassisti regolari e, grazie a ciò, riescono ad offrire prezzi sensibilmente inferiori alle tariffe di quest’ultimi.


3) I tassisti, hanno agito in Tribunale in via cautelare, ossia chiedendo un procedimento d’urgenza ex art. 700 codice di procedura civile (c.p.c.). La ratio dei procedimenti cautelari risiede, infatti, nella necessità di celerità, volta ad evitare che durante il tempo necessario allo svolgimento di un processo in via ordinaria (cioè, semplificando, il normale svolgimento del processo), il diritto di cui si chiede tutela corra il rischio di venire pregiudicato in modo irreparabile.
I requisiti necessari per ottenere un provvedimenti d’urgenza sono due:
il periculum in mora, cioè il pericolo di pregiudizio al diritto a causa del ritardo nell’ottenere tutela in via ordinaria. Tale pregiudizio deve essere imminente e irreparabile (ex art. 700 c.p.c.);
il fumus boni iuris, ossia l’accertamento della sussistenza di un diritto in capo al ricorrente, sulla base di una cognizione semplificata. 
Il ricorso, depositato in data 20/3/2015, ha avuto come esito un’ordinanza emessa il 25/5/2015, quindi in soli due mesi. 

4) Periculum in mora secondo il giudice. Il periculum in mora, nel caso specifico, è stato individuato nel mancato guadagno dei tassisti durante il tempo del processo alla luce di particolari circostanze. Il giudice, infatti, rileva che «la prestazione del servizio contestato sia legata ad un fenomeno in rapida evoluzione e rispetto al quale le società resistenti hanno programmato un’imminente ulteriore estensione ad altre città italiane» (punto 8 dell' ordinanza*). Il servizio Uber Pop è stato infatti lanciato in Italia da circa un anno, con crescente successo, a cui hanno contribuito l’eccezionale capacità di diffusione del web e l’intensa promozione del servizio. Tali motivi rendono «attuale e sussistente la necessità di provvedere in via d’urgenza in quanto gli effetti pregiudizievoli nel settore – ove si attendesse l’esito di una causa di merito – risulterebbero non compiutamente risarcibili in termini esclusivamente pecuniari» (punto 8*).
Il giudice rileva inoltre la peculiare e stringente attualità di tale pregiudizio legata all’Expo 2015, dal momento che, in occasione di detta manifestazione, sono attesi un numero elevato di visitatori. Se è vero che ciò interessa direttamente la sola città di Milano, tuttavia il potenziale attrattivo di Expo 2015 appare suscettibile di ampliare «l’afflusso turistico in altre città italiane tra le quali anche quelle ove operano parte degli odierni ricorrenti» (punto 8*).

5) La posizione di Uber. Le società del gruppo Uber si sono difese invocando l’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., sostenendo la libertà da parte dell’ utente e del conducente Uber di stipulare un contratto. Inoltre, secondo loro, non si tratta di un servizio di trasporto pubblico e perciò non sono violate le norme pubblicistiche. Hanno poi presentato un’interpretazione dell’art. 2598 c.c. alla luce dell’art. 41 della Costituzione, ossia facendo riferimento alla libertà di iniziativa economica  e all’interesse della collettività, anche in lettura conforme coi principi antitrust, che si oppongono a monopoli e a forme anticoncorrenziali. Da ultimo, hanno affermato che i principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea relativi alla libertà di stabilimento delle imprese, alla libera prestazione servizi e alla concorrenza imporrebbero una ricostruzione evolutiva del quadro normativo nazionale.

6) Il giudice non ha ritenuto di accogliere gli argomenti presentati da Uber. L’attuale quadro normativo italiano è chiaro: alla luce degli artt. 2 L. 21/92, degli artt. 82 e 86 C.d.S., nonché dei singoli regolamenti comunali relativi al servizio taxi, è impossibile che un servizio analogo possa esser svolto da un soggetto privo di licenza. L’autista che svolge il servizio di trasporto urbano non di linea senza licenza pone in essere una condotta materiale vietata dal Codice della Strada e dalla normativa statale, regionale e comunale che regola i servizi pubblici locali non di linea.

Secondo il giudice,  il controllo sull’accesso al mercato dei servizi pubblici non di linea non confligge con i principi di libera concorrenza, neanche a livello di diritto dell’Unione europea. L’art. 41 Cost. prevede infatti che la libera iniziativa economica privata possa essere oggetto di regolazione ed indirizzo (comma 2).

7) La differenza tra car sharing (lecito) e UBER POP (illecito). Le società resistenti avevano anche sostenuto che Uber Pop costituisce «espressione della nuova concezione di utilizzazione dell’autovettura in maniera condivisa, al fine di abbattere i costi di impiego dell’auto privata» (punto 6*). Il giudice tuttavia nega che Uber Pop possa paragonarsi ad altre forme lecite di condivisione di trasporto su strada, come il car sharing.
Il car sharing presuppone che l’autista abbia un suo percorso personale da svolgere, per un interesse proprio e che «in genere le quote richieste ai partecipanti si riducono alla divisione del prezzo della benzina e dei pedaggi autostradali» (punto 6*). Pertanto non si tratta di un uso del veicolo nell’interesse dei terzi con conseguente inapplicabilità delle sanzioni previste dall’art. 82 C.d.S.
Nel servizio Uber Pop, invece, «l’autista non ha un interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, in assenza di richiesta, non darebbe luogo a tale spostamento» (punto 6*).

8) L’ultima tappa della vicenda: Uber perde anche il reclamo. Avverso l’ordinanza del giudice monocratico, Uber ha proposto reclamo, che, in base all’art. 669 terdecies c.p.c., viene rivolto allo stesso Tribunale, ma in composizione collegiale e senza la presenza del giudice che si era precedentemente pronunciato sul medesimo caso. Il 9 luglio, il collegio ha però respinto il reclamo.
Ecco la nuova ordinanza. Inoltre alla legge 21/1992 è stata proposta una modifica, che prevederebbe l'aggiunta dell'articolo 3bis che intende disciplinare i serivizi come Uber Pop e invoca espliciti requisiti da seguire per poter essere legali (ecco i punti della modifica all'articolo 3)
Leggendoli è facile capire quanto il servizio Uber Pop per come è concepito farebbe molta fatica ad adeguarsi ma sarebbe un primo passo verso l'apertura.

9) Non finisce qui. Di certo la vicenda non è destinata ad esaurirsi qui. In base all’ordinamento giuridico italiano attuale, Uber Pop è dunque un servizio abusivo. Per renderlo “legale” servirebbe probabilmente la predisposizione di nuove norme. Le associazioni dei taxi rimangono sul piede di guerra e Uber, d’altra parte, non sembra disposto ad arrendersi. La questione è complessa e coinvolge numerose considerazioni. Se però Uber rappresenta veramente il nuovo che avanza, sarà difficile fermarlo.
 
10) Chi stiamo proteggendo? La legge è chiara ed è chiaro anche lo stop. Detto questo, i taxi rappresentano una categoria protetta e fin troppo tutelata a mio avviso. Uber Pop funziona in tantissimi paesi e da noi no. La concorrenza in settori come quelli del trasporto pubblico migliora i servizi e i prezzi, esattamente come è successo per Trenitalia e Italo, i treni son migliorati e i costi pure. Quanto ci metterà la legge italiana ad adeguarsi affinché anche noi italiani potremmo usufruire di UberPop? Staremo a vedere.
* i punti specificati si riferiscono alla prima ordinanza emessa. 
di Anna Ferrari & Simona Gaudiosi