venerdì 29 maggio 2015

Si vive meglio "on the beach". L'obesità negli USA in una mappa interattiva.

Che al mare si stia meglio non è un segreto. Sole, mare e tanto relax sono le ricette perfette per una vita sana.
Nell'immaginario comune delle spiagge Californiane, oltre l'oceano e le grandi onde, c'è sempre una Lei o un Lui che fanno sport in costumi succinti con fisici mozzafiato.
Oggi questo cliché è confermato dai dati: l'obesità negli USA è relazionata alla geografia. I più sani vivono sulle coste della Florida e della California, nello stato di NewYork e sulle rive del lago di Chicago. I meno in forma vivono nell'entroterra, nel cuore dell'America, lontano dal mare e dalle grandi città.
C'è un nesso importante quindi tra la cultura del vivere sano e le grandi città costiere. Il Fitness non a caso è nato nelle palestre assolate e non nelle fattorie del Mississipi. Ad oggi gli Stati americani sono ancora tanto distanti tra loro, l'obesità e la sua distribuzione ne sono l'ennesima prova.





Fonte: http://www.peteraldhous.com/

mercoledì 27 maggio 2015

L’Unione europea nei sogni dei giovani. Il racconto di un viaggio nella Gioventù Federalista Europea


di Anna Ferrari 

Perché un giovane dovrebbe credere, oggi, nell’Unione europea? Personalmente, sono sempre stata un’europeista convinta, tuttavia non si può negare che l’Unione europea stia attraversando un periodo difficile. Infatti, l’Unione è messa alla prova da problemi enormi quali la crisi, la disoccupazione giovanile, il Grexit, il Brexit, la questione Ucraina, gli immigranti disperati che arrivano dal Mediterraneo, il tutto condito dalla crescita delle voci euroscettiche. A tratti, quello che è stato un sogno di unità e pace sembra sul punto, se non proprio di svanire, comunque di retrocedere.
Proprio in questo contesto, JEF – Junge Europäische Föderalisten Deutschland, la Gioventù Federalista Europea, sezione Germania, ha allestito un seminario internazionale a Berlino, dedicandolo alla “Solidarietà in Europa”.
JEF è un’organizzazione giovanile transnazionale, legata al Movimento Federalista Europeo, che promuove un’integrazione europea sempre più profonda. Mesi fa ho visto l’annuncio sulla pagina facebook della sezione italiana e, pur non essendo membro, ma spinta dalla curiosità, ho deciso di mandare la candidatura. In breve, mi sono trovata a far parte di più di sessanta ragazzi che dal 14 al 17 maggio hanno fatto rotta sulla capitale tedesca per l’International Berlin Seminar 2015, presso la Tagungshaus Alte Feuerwache. I partecipanti avevano un’età compresa tra i sedici e i trentun anni, provenienti da diciannove Paesi europei, sia Stati membri dell’Unione europea, sia Stati che desidererebbero aderire, come quelli balcanici e la Turchia. Insieme siamo salpati a bordo del battello a vapore federalista, metafora di questa edizione del seminario. 
Ha fatto da sfondo alla nostra avventura europea una città estremamente significativa perché Berlino, con la sua storia di guerra, divisioni e riunificazione recente, rappresenta senza dubbio una grande inspirazione per ogni giovane che crede in un’Europa unita. 


Il seminario si è aperto con un dibattito collettivo relativo ai temi europei più sensibili. Da lì siamo passati ad occuparci della solidarietà, declinabile in molteplici settori: la crisi economica, la crisi sociale, la politica dell’immigrazione, la politica estera e di sicurezza comune, l’allargamento e i rapporti con gli Stati vicini, i valori europei fondamentali. Questi argomenti sono stati introdotti durante il World Café, momento in cui, tazza di caffè e biscotti alla mano, abbiamo potuto sedere al tavolo con alcuni esperti e confrontarci. I lavori sono proseguiti nei workshop, dopo esserci divisi in piccoli gruppi scegliendo il tema di maggior interesse per ciascuno. Il mio era dedicato alla crisi economica. 
Dopo aver condiviso le rispettive conoscenze ed esperienze, abbiamo disegnato un’utopistica “Happiness Island”: lì il debito sovrano non cresce, corruzione e frode sono inesistenti, ci sono gli eurobond e stessi standard economici e sociali, c’è rispetto dei diritti umani ed elevati standard sociali per tutti, nessuna disparità di stipendio tra uomini e donne, medesima tassazione nell’Ue, piena occupazione. Le soluzioni concrete sono state presentate, come una mappa per arrivare all’isola del tesoro, nella seduta comune conclusiva insieme ai risultati degli altri workshop.
Proprio nelle occasioni di dibattito sono emerse le differenze, soprattutto quelle più accentuate tra chi proviene dal Nord e chi dal Sud dell’Europa. La crisi in Grecia è stata ampiamente discussa ed è stato interessante poter incontrare alcune ragazze greche. Ci tenevano particolarmente a spiegare, accalorandosi, che non vogliono più l’austerity perché, come popolo, sono stati messi in ginocchio, ma che desiderano comunque rimanere nell’Unione europea e far capire il bisogno di una nazione umiliata di recuperare la dignità. Una di loro mi ha raccontato, in una pausa, che durante l’incontro le era venuto quasi da piangere per il futuro proprio e dell’intera sua patria. Sarà forse un piccolo episodio, ma credo che testimoni quanto sia importante ricordare che la situazione, al di là dei tecnicismi della politica economica, va a toccar nel vivo le persone. 
Dall’altra parte, però, non sono mancate le osservazioni di chi, cittadino di Stati più benestanti, è preoccupato di trovarsi a pagare debiti per quelli meno virtuosi. Il discorso si è fatto particolarmente rovente anche sulla questione dell’immigrazione nonché sul referendum relativo al Brexit. 
Non poche volte si è visto qualcuno dei partecipanti cambiare opinione, fosse anche solo parzialmente, dopo aver ascoltato l’intervento degli altri.
Argomenti così complessi sono stati stemperati da momenti più leggeri,  il Rallye, una street action divisi a squadre. Partiti da un luogo significativo come la East Side Gallery del muro di Berlino e muniti di cartina con l’obiettivo di visitare più posti possibili, ci siamo mescolati a cittadini e turisti indossando cappelli da marinaio, bandiere dell’Unione europea e barchette di carta. Via di corsa, dunque, attraverso Alexander Platz, Unter den Linden, Brandeburger Tor, il Bundestag, Potsdamer Platz...

È stato entusiasmante fare parte di questi giovani che ritengono fondamentale interessarsi in prima persona perché il futuro, in fondo, saremo noi a viverlo. Giovani che hanno voglia di stare insieme e mettersi in gioco, seppur, a volte, con una buona dose di idealismo tipica dell’età; che non hanno vergogna di mettersi a cantare in strada l’inno alla gioia di Beethoven, diventato l’inno dell’Unione europea. L’inglese, mezzo di comunicazione comune, si è presto mescolato ai suoni di decine di altre lingue. 
Al termine dei quattro giorni di lavoro, abbiamo trovato una risposta, fosse anche solo parziale, alla domanda iniziale. Un giovane può credere nell’Unione europea nel momento in cui sente lo spirito di fratellanza che ci accomuna. L’identità europea forse esiste prima di tutto nel desiderio stesso di appartenenza, nel cercare le affinità più che ciò che ci divide. Di certo, non si può pensare di essere uniti nella diversità, se non si sarà uniti anche nella solidarietà. 



Vedi anche: 

venerdì 22 maggio 2015

Regione che vai, scuola che trovi

Dall'ultimo report pubblicato dall'Istat sullo stato delle scuole e degli studenti della nostra bella Italia, si ottiene una fotografia ben chiara sulle diversità e complessità delle nostre regioni.
La Lombardia è in testa per studenti disabili e studenti stranieri, le regioni del Sud hanno una prevalenza di scuole dell'infanzia rispetto a quelle superiori. Gli studenti iscritti agli ultimi anni di scuola raddoppiano nel Centro e nel Nord per diminuire al Sud.
Ecco l'infografica con alcuni dati. 
(report)

venerdì 15 maggio 2015

Perché la Cina è alla conquista dell'Africa?


L'interesse della Cina per l'Africa viaggia in parallelo alle sue prospettive di espansione. Lo slogan “One Belt, One Road” (“Una cintura, una strada”) usato dai media cinesi nell’ aprile 2015 al lancio della nuova via della seta, la 21st Century Maritime Silk Route Economic Belt (MSR), sintetizza perfettamente le direttrici della penetrazione economica cinese a livello mondiale.
Se via terra si è pensato ad ammodernare la via della seta storica, attraverso accordi stipulati con l'Unione Europea; oggi si punta al raddoppio, istituendo via mare una rotta commerciale che passa per l'Oceano Indiano e attraversa il continente nero.
I cinesi non badano a spese. Tre miliardi e mezzo di dollari è l'investimento iniziale che la Exim Bank farà per la realizzazione di una ferrovia transnazionale che faciliti la distribuzione di merci dagli hub portuali più attivi, come il porto di Mombasa, in Kenya, ad altri paesi dell'Africa subsahariana, come l'Uganda, il Ruanda, la Tanzania e il Sud Sudan, e di cui si assumerà il 90% dei costi di realizzazione.
La presenza cinese nel continente non è un fenomeno recente, i primi rapporti commerciali con paesi come la Tanzania risalgono ormai a 45 anni fa. Negli ultimi vent'anni il Paese di Mezzo ha progressivamente intensificato le relazioni economiche con l'Africa, arrivando a scavalcare gli Stati Uniti come primo partner commerciale. Dal 2005 al 2012 le autorità cinesi sostengono che gli investimenti diretti esteri sono sestuplicati, passando da 392 milioni a 2,5 miliardi di dollari, mentre lo scambio commerciale complessivo ha superato i 200 miliardi nel 2014.

L’Africa subsahariana rappresenta la promessa di un El Dorado, noi non ci siamo i cinesi si. La Banca Mondiale calcola per quest’area una crescita del PIL del 4,5% nel 2014 e le previsioni per i prossimi tre anni sembrano confermare la tendenza, tanto che è stimato il raggiungimento del 5,1% entro il 2017 come si vede dal grafico, una crescita che in Europa ci sognamo. 

I rapporti economici con la Cina sono caratterizzati da una concentrazione settoriale: i cinesi importano petrolio (64%), minerali (22%) e manufatti (8%) evidenziando un forte interesse di sfruttamento delle risorse naturali. L’Africa li rifornisce con 1,2 milioni di barili di greggio al giorno, che ammontano al 24% del suo approvvigionamento energetico totale. Al contrario, le esportazioni cinesi riguardano macchinari ed attrezzature per il trasporto, seguite da manufatti e tessuti.
I rapporti cinesi in Africa non sono solo hard, fatti di cemento e asfalto, ma riguardano anche i settori della cultura e delle telecomunicazioni, esercitando quel potere soft che facilita l'accettazione sociale dei cambiamenti in atto.
Nel 2009, l'ex presidente Hu Jintao ha assistito alla cerimonia di inaugurazione di un complesso sportivo da 56 milioni di dollari dedicato alla cultura cinese a Dar Er Salham, in cui ha firmato un’intesa da 4,4 milioni per riabilitare i canali radio e tv delle emittenti di Stato nell’arcipelago di Zanzibar. Se le nostre generazioni sono cresciute con il grande cinema hollywoodiano, in prospettiva possiamo dire che le future generazioni africane cresceranno guardando le pellicole prodotte ad Hong Kong.
La sinergia si spiega nella complementarietà economica esistente tra le due aree: se da un lato l’Africa è carente di centrali elettriche, reti di telecomunicazioni e trasporto, strutture igienico-sanitarie la Cina oggi possiede una delle più competitive industrie di costruzioni civili. 

L'importanza del settore energetico per l'economia cinese porta ad evidenti squilibri nella geopolitica africana: se i paesi con risorse energetiche sono il centro degli investimenti cinesi con i quali poter accumulare deficit commerciali, quelli privi di materie prime sono costretti, al contrario, ad importare prodotti cinesi a maggiore valore aggiunto e quindi necessariamente ad ingigantire il proprio deficit.
L’entrata in scena del gigante cinese in queste economie con enormi potenziali di crescita, ha radicalmente mutato gli equilibri economici e politici dell’intera area subsahariana. Il faro è puntato su come questo scambio possa creare vantaggi per entrambi i protagonisti e non solo per gli eredi di Mao Zedong.



con la collaborazione di Andrea Pomella